Una lunga premessa e due belle ricette di aprile
Scritto da Marilena il 22 – aprile – 2010
Domenica scorsa andavo per erbe selvatiche in compagnia della mia mamma (ottantacinquenne) e di Valeria, una mia cara amica. Andavo per Santa Margherita, Piudizzo, Costa, e riflettevo…
E’ proprio un bel paese dove si sta bene quello che ti offre ancora tanta ricchezza di piante selvatiche buone da mangiare, e mentre le scopri tra l’erba, alzi lo sguardo e tutt’intorno vedi un panorama invidiabile di colli fioriti di ciliegi bianchi, di prati pieni di fiori gialli, di campi coltivati…
Una bambina mi si è avvicinata mentre raccoglievo la silene sulla via per Piudizzo:“Cosa cerchi?”, mi ha chiesto. “Quest’erba buona per far la minestra” le ho risposto. E’corsa dalla mamma a mostrarla, era felice per la scoperta ed io sorpresa per il suo interesse. La mamma le ha risposto: ”la conosco, è la sfregolina”.
Ecco, un territorio che ha ancora memoria è un bel territorio.
La silene ha tanti nomi dialettali: verzet, curnagina, sfregolina, laciarel, saliset, e tante mani che ancora la raccolgono per metterla in minestra o in frittata.
Qui ora mi permetto di dare due ricette popolari, una con l’ortica e l’altra con il tarassaco, ma la mia piccola riflessione che vorrei passarvi e che viene dalla mia esperienza personale è questa: dietro ad un erba selvatica c’è sempre una nonna o un nonno che ci hanno insegnato a riconoscerla e a tramandarne la popolarità. Andar per prati e boschi con i propri cari fa molto più famiglia che bere insieme una coca o mangiare un piatto di lasagne barilla!
Buone passeggiate lente e pazienti alla ricerca della vostra erba preferita…
MINESTRA DE ORTIC (Per 4 persone)
200 g di riso
1,2 litro di latte (anche di brodo)
1 manciata di germogli di ortiche raccolte in luoghi salubri con l’uso di guanti da cucina
1 noce di burro
formaggio grattugiato
sale se si usa il latte
Tritare le ortiche
Portare ad ebollizione il latte e buttarvi riso e ortiche
A cottura ultimata insaporire con il burro e servire la minestra ben calda con il formaggio.
SCIROPPO SALUTARE DI FIORI DI TARASSACO
In una bella giornata di sole raccogliete 4 manciate di fiori gialli di tarassaco senza sciupare i prati, copritele in una pentola con un litro d’acqua. Portate a bollore e appena dopo un minuto o due di bollore spegnete e lasciate a riposare il tutto fino al giorno dopo.
Spremete il succo sciropposo e unitevi un kg di zucchero e mezzo limone tagliato a tocchetti. Riportate nella pentola e fate bollire lentamente, spegnendo e lasciando raffreddare per due volte. Si dovrà ottenere una consistenza sciropposa e densa. Sembrerà un po’ liquido, ma con il tempo si cristallizzerà, proprio come un vero miele di tarassaco, ricco di proprietà inestimabili.
Spalmato la mattina sul pane vi darà quel giusto contrasto dolce amaro per cominciare nel verso che preferite la giornata.
Se vi appassionano le buone erbe selvatiche, che sono anche gratuite, potete farvi aiutare dal libro:
“Andar per erbe sui monti lecchesi “di Maria Rita Colombo edito da Stefanoni:
Se invece avete esperienze dirette, vi prego proprio di condividerle con noi tutti, grazie.
Ricetta di Maggio al tempo delle lumache e del ritorno ai boschi, tra fiori di acacia e di sambuco
Dopo questo tempo da lupi in cui mi venivano in mente solo ricette a base di lumache (però a maggio ne è vietata la raccolta), torno a voi proponendo ancora una ricetta per la quale è necessario uscire di casa e andare al supermercato del bosco, senza portafoglio (cosa non trascurabile in questo momento), muniti di sporta e di gioia di scoprire il nostro territorio
FRITTELLE DI FIORI DI SAMBUCO E DI ACACIA
Per la pastella
- 4 cucchiai colmi di farina
- 1 bicchiere di latte, di latte di riso, o semplicemente di acqua frizzante
- 1 cucchiaio di olio di oliva extravergine
- 3 albumi (facoltativo)
- 1 pizzico di sale
Servono una decina di grappoli floreali di acacia o di ombrelle di fiori di sambuco
Fate la pastella con la farina, il latte o l’acqua minerale frizzante, un pizzico di sale ed un cucchiaio di olio. Copritela con un telo e fatela riposare per due ore.
Completate la pastella aggiungendo gli albumi montati a neve.
In una padella riscaldate l’olio e friggete i fiori inzuppati nella pastella. Poneteli belli croccanti sulla carta assorbente e poi in un vassoio cosparsi di zucchero a velo.
Vantaggi di questa ricetta
- è veloce
- è buona
- i fiori crescono nel nostro territorio (anche se l’acacia è una pianta invasiva e non autoctona) e crescendo in un luogo salubre hanno ottime proprietà terapeutiche
I FIORI DI SAMBUCO E DI ACACIA POSSONO ESSERE UTILIZZATI ANCHE PER OTTIMI SOUFFLE. CROSTATE E TORTE SU RICHIESTA INVIO RICETTA.
Ricetta di maggio di Marilena: il rospo alla “saltimbocca”
Oggi ho ingoiato un rospo. E vi assicuro che non era buono.
Allora mi sono chiesta se non esista una ricetta per digerire in modo piacevole questo insolito piatto. Potrebbe essere di aiuto anche ai pochi, o forse ai tanti, o forse a tutti gli utenti di Upper che come me sono costretti loro malgrado a trangugiare rospi saltimbocca. Rospi questi di cui a volte si conosce l’origine, ma che il più delle volte piombano nel piatto senza tracciabilità alcuna. Arrivano da tutte le parti, in questo momento poi ce n’è a bizzeffe, e, quando meno te lo aspetti, ti saltano in bocca e ti restano sullo stomaco, perché non sono nemmeno masticabili. Ognuno prima o poi deve ingoiare un rospo, anche i vegetariani: fa parte della dieta di ogni paese e di ogni cultura.
Ho cercato nel libro di ricette del mitico Artusi, ho navigato in internet, ho persino visitato il sito www.rospi.it, ho cercato nei libri di fate e streghe.
Niente, ho trovato solo ricette per baciare i rospi, ma per mangiarli no.
Così per consolarmi ho pensato: se non si trova una ricetta per cucinare il personale rospo saltimbocca, bisogna pensare ad un rimedio per digerirlo in breve tempo in modo piacevole, per evitare effetti collaterali.
Eh sì, perché questa specie di rospo danneggia i nostri organi preferiti, a qualcuno il cuore, ad altri il fegato, ad altri lo stomaco, persino il cervello..
Pensate che non molto tempo fa qualcuno per far digerire i rospi usava l’olio di ricino.
Altri proporranno, lo spero, soluzioni più mirate ed efficaci.
Io semplicemente vi propongo un dopo pasto piacevole e distensivo, che fa bene al cuore, allo stomaco ed alla mente.
Per essere efficace deve essere sorseggiato sorridendo e pensando a tutti quei rospi liberi in natura, così innocui e devoti mangiatori di insetti e lumache, così bisognosi di protezione, che preferirebbero di gran lunga bagnarsi in uno stagno che nei succhi gastrici del nostro stomaco!
Elisir dei quattro fiori o del rospo felice
400g d’alcool a 95°, 650g d’acqua, 150g di zucchero, 40g di fiori di tiglio, 30g di fiori di camomilla, 30g di fiori di basilico, 10g di fiori di achillea, 20g d’alloro, 1 g di cannella, 1 baccello di vaniglia.
Ponete in un vaso di vetro a chiusura ermetica fiori e spezie. Tappate bene il recipiente e lasciatelo macerare per 10 giorni, scuotendolo più volte al giorno. Trascorso il tempo filtrate dapprima con un colino fine, spremendo bene le erbe, quindi filtrate mettendo un poco di cotone idrofilo nell’imbuto . Tappate ermeticamente la bottiglia con il liquore filtrato. Questo liquore dovrà essere lasciato invecchiare per almeno tre mesi in un posto fresco ( all’emergenza anche per meno tempo..!)
necessario uscire di casa e andare al supermercato del bosco, senza portafoglio (cosa non trascurabile in questo momento), muniti di sporta e di gioia di scoprire il nostro territorio
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Ricetta di giugno in cui ignare lumache si aggirano tra le scene di “diario di un saccheggio”
Ho ripensato alla frase che cita spesso un nostro amico contadino, e si sa che i contadini hanno il cervello fino, “qui mi sa che ogni giorno ci tolgono qualcosa, all’inizio cose lontane dalla nostra vita reale per abituarci, poi a poco a poco sempre più vicine, meno stipendio e pensione, meno lavoro, meno denaro, meno terra, meno acqua, ecc.. E ci dicono che i sacrifici sono necessari… se li facciamo noi”.
Ma torniamo alle lumache, dal momento che i polli sono ormai pronti per essere spennati…. ma, badate bene, non mangiati da noi.
In tempo di saccheggio delle risorse, tornerà sicuramente utile ricordarsi delle mie altre ricette e con questa sulle lumache procurarci in natura ottime proteine energetiche e gratuite.
Se corriamo il rischio che saccheggino tutto, almeno a noi resterà di saccheggiare le lumache, prima che venga a qualcuno in mente di privatizzarle!
Una precisazione: se dopo aver gustato la mia ricetta e visto il film qualcosa vi sarà rimasto sullo stomaco, non date colpa alle lumache, loro in fin dei conti non votano mai…… se potessero correrebbero di più.
Lumache trifolate come le faceva la mia nonna
Dopo un temporale, e solo a stomaco proprio vuoto, andate per boschi e strade di campagna muniti di un contenitore chiuso e cercate le lumache, avendo cura di raccogliere solo le più grosse ed in luoghi salubri, perché le lumache sono l’anello della catena alimentare più sensibile all’inquinamento.
Portatele a casa, se non sono scappate prima, e mettetele al sicuro in un recinto con un po’ di crusca per farle spurgare. Dopo un paio di giorni, se avete ancora fame, buttatele nell’acqua bollente salata e fatele cuocere per poterle togliere facilmente dal guscio. A quel punto sono pronte per divenire un succulento accompagnamento di polenta, facendole trifolare con prezzemolo, aglio, olio.
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RICETTA DI LUGLIO CHE VUOLE ESSERE DI BUON AUSPICIO PER LE VACANZE
Lo scorso giugno la mia ricetta era tutta pervasa dall’atmosfera creata in me dalla visione del film documentario “diario del saccheggio”e dalle lumache che vedevo ovunque!
Purtroppo non si tratta di una fiction, né tanto meno di un film comico, ma di fosche analogie.
Naturalmente la visione è caldamente sconsigliata dalle lumache che hanno invocato la legge sulla privacy.
Ora è arrivata la manovra finanziaria contro noi brutti cattivi che sprechiamo.
I portatori di handicap sono stati avvertiti e ora sotto a chi tocca
tocca proprio …….….a te?!
I tempi che ci aspettano sono incerti e creano tensioni, paure, rabbia, rancori e desideri….che ci fanno solo del male (parola di lumache!)
Da qui il dovere e la necessità di mantenerci in buona salute per affrontarli con lucidità
Il primo passo inizia da una sana alimentazione
Prima regola: cominciamo ad eliminare dalla nostra spesa se non tutti almeno i più evidenti cibi spazzatura compiendo così una prima salutare e remunerativa raccolta differenziata, semplicemente evitando di mangiarli.
Seconda regola: scegliamo cibi semplici e nutrienti, meglio ancora biologici, di cui conosciamo la provenienza, che possono trasformarsi in piatti gustosi grazie all’arte di chi cucina, modificando così piacevolmente cattive abitudini alimentari.
Per questo vi potrebbe interessare la seguente ricetta caldamente raccomandata anche dalle lumache di Monte Marenzo
farro al pesto
Il farro rinforza il corpo e lucida la mente
unito al pesto diventa un alimento completo e per coloro che non hanno mai mangiato il farro e’ il modo migliore per gustarlo
300 g di farro naturalmente di Monte Marenzo
che non va messo a bagno e cuoce in 15 minuti
basilico una manciata
pinoli 2 cucchiai
parmigiano 3 cucchiai
olio extravergine 2 cucchiai
pepe e sale
Preparate un pesto alla genovese con gli ingredienti sopraindicati (i puristi usano all’uopo il mortaio, io uso il mixer) e mettetelo in frigo. Lavate il farro e bollitelo per 15 minuti, testate la cottura e quindi scolatelo e conditelo con il pesto. Mettete di nuovo in frigo
Eventualmente è molto buono anche caldo come un risotto
Per chi non riesce a capire che ci facciano tutte queste lumache qui intorno, invito a leggere la mia ricetta di giugno oltre a scaricare da youtube “diario del saccheggio” Vi potrebbe interessare anche leggere la recensione del libro “il saccheggio” appena uscito bellaciao.org/it/spip.php?article26714
Salviamo le lumache
Marilena Chiari luglio 2010
Trovato serpente nell’orto di Cascina Costa Antica
Trovato serpente nell’orto di Cascina Costa Antica
Indovinate chi è:
Se lo vedete cosa fate?
Scegliete la risposta tra queste tre:
a) scappo a gambe levate
b) lo uccido
c) gli offro la cittadinanza onoraria, sperando che sia femmina, magari incinta
nei prossimi giorni vi sarà data la risposta esatta, insieme ad un profilo della vostra personalità, stilato da un profondo conoscitore dell’animo umano!
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Salve, mi presento, sono biacco
Salve, mi presento, sono biacco
i vostri commenti mi sono piaciuti un sacco!
E così ora tocca a me esprimere pareri su di voi e sulle vostre risposte al quesito
se mi vedete cosa fate?
tre opzioni:
a) scappo
b) uccido
c) offro la cittadinanza onoraria, sperando sia femmina magari incinta
A) Naturalmente la mia massima stima e approvazione va a coloro che hanno dato questa risposta, perché con la loro fuga rispettano al massimo la mia privacy. Comportamento davvero lodevole dal mio punto di vista, gente dotata di ottimo self control e grande prontezza di riflessi di fronte al pericolo. Anch’io sono molto veloce, ma cosa non darei per potermi dare a gambe levate se incontro un gatto o un essere umano!!
C) Grande considerazione va da parte mia a coloro che hanno scelto la terza opzione: è gente
studiata, che prima di agire riflette, dotata di grande generosità ed un po’ di buona ingenuità.
Sono un giovane biacco e non so ancora se sono maschio o femmina, si vedrà.
Per quanto riguarda l’offerta di cittadinanza, ringrazio, ma rifiuto. Visto i tempi che corrono,
essere cittadini non conviene, troppe tasse, imu sulla prima tana, bassa assistenza, meglio
restare in clandestinità! Tanto io faccio già di mio tanto bene alla comunità: divoro i piccoli di
vipera, mangio i topi, controllo le nascite di molti animali……
B) Nessuno ha scelto l’opzione b) si potrebbe essere soddisfatti.
Invece girano a piede libero ancora coloro che mi vogliono morto. E non cambiano opinione, anzi gridano all’untore se qualcuno mi lascia in vita…
Ipocriti serpenti! Come vorrei essere una vipera se li incontrassi!
Marilena Chiari
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Ripensando alla Mostra agricola di Carenno 2013,
appunti di vita contadina in Valle San Martino
Con la ritualità di un presepio vivente, in una fredda domenica di ottobre, tra la nebbia ed i nuvoloni bassi, sono arrivati a Carenno i personaggi di una storia che si ripete da 22 anni secondo un rituale ben preciso: per primi i volontari addetti alla logistica, poi gli espositori, per lo più commercianti ed artigiani, i venditori di dolciumi e panini….
Infine sono arrivati i veri protagonisti di una fiera agricola: cavalli, asini, pecore, mucche
e i contadini che espongono e vendono i loro prodotti: ortaggi, frutta. cereali, confetture, miele, salumi
Ecco, finalmente la fiera ha ufficialmente inizio: arrivano i primi visitatori….. e le autorità
Il tempo incerto e forse anche la crisi economica attuale non hanno favorito un grande flusso di visitatori, che comunque sono arrivati alla spicciolata, tra una pioggia e l’altra: cavalli, asini e pecore, ma anche i tavoli della Proloco e la castagnata hanno fatto da attrattiva.
A questo punto è doveroso fermarci a riflettere sul senso e sulle prospettive di questo avvenimento annuale, perché la fiera di Carenno non è solo un luogo territoriale, è soprattutto un luogo simbolico.
Infatti la mostra agricola della Valle San Martino è la sola rimasta a testimoniare in valle l’importanza dei contadini e dei loro prodotti, contadini, non imprenditori agricoli, sottolineo, piccoli contadini irriducibili con i loro pochi capi di mucche e pecore, con aziende di pochi ettari, con boschi piccoli e a volte irraggiungibili, Più di mostra agricola si dovrà parlare nei prossimi anni di Resistenza agricola, perché di anno in anno si vedono diminuire i piccoli contadini della valle, portatori di tradizioni e custodi del territorio.
Se l’ultimo contadino in valle si estinguesse, la stessa valle diventerebbe invisibile, invisibili la sua storia e la sua identità.
Esiste però un gruppo di irriducibili contadini che tengono duro, portando avanti il loro lavoro con passione.
Quest’anno ad esempio sono stati presentati i lavori di due Associazioni, quella degli “Agricoltori Valle San Martino” che tra l’altro hanno esposto il progetto di recupero dell’antico Mais di Carenno finanziato dalla Comunità europea attraverso il “Gal valle Brembana” e la Comunità Montana e quello della neonata “ Associazione di castani cultori della valle San Martino”per il recupero e l’utilizzo dei boschi di castagni.
Se si coltivano i campi e si curano i boschi, si produce cibo e ricchezza e si ottiene un ambiente sicuro e bello a vedersi. Non servono grandi opere ed interventi di grandi imprenditori, basta lasciare lavorare in pace i contadini.
Se gli abitanti della valle sentono l’importanza della presenza degli agricoltori che coltivano vicino a loro, allora sì che lo spazio della fiera diventa un presepio vivente. Sono i visitatori della fiera a renderla un bene comune. E c’è da sottolineare il fatto che pur essendo pochi i visitatori si è avvertito un aumento di interesse e di simpatia verso i prodotti locali e verso le produzioni di qualità.
Terminerei l’articolo lasciando la parola ad un pezzo tratto dal libro “Minima ruralia” edito da Pentagora di Massimo Angelini, professore universitario e storico, conoscitore della vita contadina, ma anche pratico contadino di patate ed olive. Consiglio a tutti e soprattutto agli amministratori dei beni comuni, tra cui soprattutto vi è la terra, la lettura di questo libro, che si può trovare in vendita alla libreria “Il viaggiator leggero” di Calolziocorte.
Semi, agricoltura contadina e ritorno alla terra
di Massimo ANGELINI,
PER L’AGRICOLTURA CONTADINA
“ Il mondo rurale faceva vivere la terra e gli uomini. Teneva in equilibrio la comunità con i loro ambienti: curava la fertilità dei terreni e delle piante, perché senza fertilità sarebbe presto scomparso il mondo abitato, dava nutrimento a tutti e solo per questo il lavoro dei contadini è il più importante dei lavori, anche se nella considerazione pubblica stava all’ultimo posto in quella scala sociale dove in cima stavano i sovrani, i sacerdoti, i professionisti della parola scritta e della guerra.
Oggi non è facile parlare così di una agricoltura che spesso non cura la terra, ma la consuma e ne fa steppa……………..l’agricoltura che non dà nutrimento più di quanto non dia malattia e porti con sé il deserto è ciò che genera il modo industriale e finanziario di considerare la terra.
Un’altra agricoltura intanto sopravvive, nascosta più di quanto sia residuale, ancora popolare e straordinariamente diffusa in Italia…..E’ quella più vicina al lavoro delle persone e alle culture della comunità, ai bisogni più elementari ed ad un’ economia ciclica; è quella esercitata per mestiere o passione o necessità da chi mangia i propri prodotti perché produce innanzitutto per sé e per la propria famiglia e poi anche per vendere; da chi coltiva la terra e non i contributi; da chi mantiene in vita sementi, esperienze, consuetudini, humus e falde dell’acqua: è l’agricoltura dei contadini che non sono imprenditori e tanto meno industriali della terra……….
E con un sorriso di speranza arrivederci alla 23° mostra agricola della Valle San Martino
Marilena
P:S: un ringraziamento a Roberto di https://www.facebook.com/meteo.sopracornola per le belle foto